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Quattro sottozero

Quattro sottozero

30 Luglio 2018

I refrigeranti naturali si stanno diffondendo in maniera crescente, e aprono un mondo di nuove sfide per chi progetta sistemi di raffreddamento. William Bentley di Sensata Technologies afferma che gli sviluppatori di sistemi HVAC potranno ottimizzare sicurezza ed efficienza se sapranno comprendere le implicazioni di questa tendenza sulla progettazione e sulla scelta dei componenti.

Sempre di più, i governi spingono i produttori di impianti e sistemi a migrare verso l'impiego di sostanze chimiche che non abbiano un impatto negativo sull'ambiente. Per il settore refrigerazione/raffreddamento, ciò significa sostituire le vecchie classi di refrigeranti chimici che emettono pericolosi gas serra, come gli idrofluorocarburi (HFC), gli idroclorofluorocarburi (HCFC) e i clorofluorocarburi (CFC) con prodotti meno dannosi e più "green", che non contribuiscano ad assottigliare lo strato di ozono e che abbiano un basso impatto sul riscaldamento globale.

Tali refrigeranti alternativi sono sostanze naturali, non sintetiche, che possono essere utilizzate come fluidi frigorigeni in frigoriferi e condizionatori, e comprendono idrocarburi (propano, butano e ciclopentano), CO2, ammoniaca, acqua e aria.

A causa delle recenti normative, gli OEM che producono sistemi di refrigerazione e condizionamento si trovano ad affrontare nuove sfide per quanto riguarda la scelta del refrigerante migliore per una determinata applicazione, e anche di componenti che possano affrontare specifiche complessità tecniche e caratteristiche prestazionali. Detto questo, quali sono le opzioni disponibili? Come sceglierle?

Tipi di refrigerante

Esistono due criteri importanti per determinare se un refrigerante è o non è sufficientemente eco-compatibile: il primo è il suo potenziale di riduzione dell'ozono (Ozone Depletion Potential o ODP); il secondo è il suo potenziale di riscaldamento globale (Global Warming Potential o GWP).

L'ODP costituisce il valore relativo del degrado dello strato di ozono che una sostanza può causare. I raggi UV della luce solare provocano il rilascio in atmosfera del cloro contenuto nei CFC e negli HCFC, e questo danneggia lo strato di ozono. I refrigeranti naturali, invece, hanno un ODP pari a zero; pertanto, anche se vengono rilasciati, non contribuiscono ad impoverire lo strato di ozono.

Il GWP costituisce il valore relativo della quantità di calore che un gas serra intrappola nell'atmosfera. Tanto più basso è il suo valore, tanto meno la sostanza è nociva per l'ambiente. Il GWP confronta la quantità di calore intrappolata da una determinata massa del gas in questione con la quantità di calore trattenuta da una massa simile di anidride carbonica. Un GWP specifico viene calcolato in un intervallo di tempo, solitamente 20, 100 o 500 anni.

Molti dei refrigeranti usati oggi hanno un GWP compreso fra 1.400 e quasi 4.000. Gli attuali refrigeranti HFC R404a e R134a hanno valori GWP estremamente alti (3.922 il primo, 1.430 il secondo) e quindi dannosi per l'ambiente. Se prendiamo in esame il propano R290, un idrocarburo naturale che costituisce una nuova alternativa al refrigerante R404A, possiamo notare che il suo GWP è estremamente basso (appena 3). Oggi come oggi, l'industria è già passata in gran parte dall'R404A all'R134A, ma optare per l'R290 comporterebbe per il futuro vantaggi ancora maggiori.

Gli idrocarburi

Molti dei refrigeranti naturali di nuova generazione sono a base di idrocarburi (HC) e non di HFC. I refrigeranti a base di idrocarburi comprendono propano (R290), isobutano (R600a), da utilizzarsi tipicamente in unità di piccole dimensioni come ad esempio gli elettrodomestici, e l'R32, composto dal propano R290 e da un altro refrigerante. Queste sostanze chimiche naturali lavorano in intervalli di pressione media, da 10 a 50 bar.

Le proprietà termodinamiche del propano R290 sono superiori rispetto ai vecchi refrigeranti HFC R134a e R404a. Inoltre, la sua capacità termica è circa il 90% maggiore dell'R134a e il 140% maggiore dell'R404a. Queste proprietà consentono all'R290 di assorbire più calore a una velocità accelerata, aumentando l'efficienza del dispositivo, con un recupero più rapido della temperatura e un minor consumo di energia.

Gli idrocarburi non assottigliano lo strato di ozono e sono caratterizzati da un basso GWP. Tuttavia esiste un lato negativo : questi refrigeranti a base di idrocarburi di nuova generazione sono altamente infiammabili e, pertanto, richiedono che i sistemi e i componenti impiegati per la refrigerazione e il raffreddamento si avvalgano di tecnologie diverse e più sicure.

L'anidride carbonica (CO2)

In un tipico sistema di climatizzazione, la CO2 necessita di una pressione maggiore rispetto agli idrocarburi (quasi il doppio) ed è per questo molto più difficile da gestire. D'altra parte, la CO2 ha un GWP pari a 1, mentre gli idrocarburi hanno un potenziale di riscaldamento globale tre volte maggiore.

L'ammoniaca

L'ammoniaca è un altro refrigerante naturale oggi utilizzato, anche se in misura minore rispetto agli idrocarburi. Presenta valori ODP e GWP pari a zero e si decompone rapidamente. Il problema dell'ammoniaca è che la sua alcalinità è estremamente corrosiva, quindi i componenti utilizzati nei vari impianti richiedono un'attenta analisi di compatibilità dei materiali.

Indipendentemente dal refrigerante scelto fra idrocarburi, CO2 o ammoniaca, ogni opzione porta con sé un certo numero di ostacoli e sfide per i produttori OEM e i fabbricanti di componenti, non ultimo i tipi di pressostati e sensori compatibili e il modo di progettarli e testarli.

Risolvere la sfida dell'alta pressione

Nei sistemi di oggi, ogni singolo componente è legato a determinate condizioni di esercizio e intervalli di pressione. Anche se la CO2 non è infiammabile come gli idrocarburi, pone problemi di altro tipo perché lavora a pressioni più elevate, quasi il doppio dei normali livelli di pressione di un condizionatore d'aria moderno. Questo aspetto comporta la progettazione di componenti speciali, come pressostati capaci di garantire un funzionamento affidabile delle applicazioni che fanno uso di CO2; a loro volta, queste esigenze vanno ad influire sulla produzione.

Alcuni produttori di bevande, ad esempio, ora chiedono che i distributori automatici utilizzino CO2 anziché i refrigeranti HFC R134a. A causa delle pressioni elevate che attraversano l'intero sistema, per motivi di sicurezza queste unità di raffreddamento ora necessitano di un pressostato, e quando non è possibile integrarlo in un secondo momento devono essere sostituite con nuove unità. Oltre alle sfide legate alla sicurezza, la CO2 è meno efficiente degli idrocarburi, e consuma più elettricità per ottenere la stessa potenza di riscaldamento o raffreddamento.

I pressostati necessari nei sistemi di refrigerazione a CO2 proteggono da eventuali esplosioni dovute all'alta pressione o da pressioni eccessive che potrebbero causare la rottura delle serpentine. Quando la pressione raggiunge un determinato livello, il pressostato apre il contatto elettrico e spegne il compressore del sistema, ovvero il cuore di ogni sistema di refrigerazione. Quando la pressione scende di nuovo a livelli normali, il pressostato riaccende automaticamente il compressore. Il mercato di oggi, tuttavia, vuole ancora più sicurezza. Poiché i pressostati sono dispositivi elettromeccanici, possono innescare scintille all'apertura e chiusura dei contatti e questo, ovviamente, può essere pericoloso. Quindi, qual è la soluzione?

Sigillare la sicurezza per refrigeranti infiammabili

Una delle sfide più complesse poste dai refrigeranti a base di idrocarburi è l'infiammabilità. Per evitare che una scintilla causi accidentalmente l'accensione dei refrigeranti a base di idrocarburi, i progettisti di componentistica come Sensata hanno integrato una maggiore sicurezza nei propri pressostati optando per un design ermetico che "sigilla la scintilla" all'interno, isolando la sostanza specifica (propano R290) dal gruppo dell'interruttore elettrico.

Ogni pressostato viene realizzato chiudendo ermeticamente il percorso del gas e applicando un sigillante attorno ai collegamenti elettrici. I collegamenti dei pressostati segnalano al sistema se l'interruttore è aperto o chiuso. Questo design di sicurezza elimina completamente un'eventuale rischio di esplosione, impedendo al gas di entrare nel vano del pressostato, dove possono generarsi archi durante le operazioni di apertura o chiusura dei contatti.

Prove e certificazioni

Quando studiano gli effetti dei refrigeranti naturali sui loro sistemi, ai produttori OEM occorre sapere se i pressostati sono stati testati con il prodotto specifico che prevedono di impiegare. Per il propano R290, ad esempio, devono conoscere il livello di corrente massimo che impedisce all'arco di incendiare il refrigerante, e sapere se è in grado di garantire il punto di intervento e il punto di commutazione richiesti.

Per i sistemi a CO2, che lavorano al doppio della pressione dei sistemi tradizionali, il problema più grande è la pressione di scoppio. Quale pressione sono in grado di tollerare? Per quanto tempo potranno funzionare in modo affidabile in ambienti caratterizzati da pressioni tanto elevate?

Qualunque sia il pressostato che deciderete di installare nei vostri sistemi, dovrete assicurarvi che sia stato rigorosamente testato da un'agenzia esterna autorizzata per resistere alle condizioni cui verrà esposto e ai refrigeranti con cui dovrà operare.

Sensori di pressione e feedback di sistema

In ambienti in cui servono informazioni relative alla pressione del sistema, anziché un pressostato è necessario installare un sensore di pressione. I pressostati sono componenti di sicurezza in senso stretto; i sensori di pressione, invece, forniscono informazioni e dati sulla sicurezza che possono essere utilizzati per aumentare l'efficienza energetica del sistema.

Se l'obiettivo è quello di mantenere la pressione entro un intervallo costante, è possibile utilizzare il sensore di pressione per regolare il sistema. Ad esempio, se in un supermercato la pressione supera il normale intervallo d'esercizio, un sensore di pressione potrebbe fornire un feedback che a sua volta potrebbe attivare il pressostato e/o spegnere o accendere il sistema di condensatori in modo da riportare la pressione entro l'intervallo specificato. Inoltre, il sensore di pressione potrebbe segnalare il problema a un tecnico o a chi si occupa della manutenzione in modo da procedere a una riparazione permanente. Potrebbe inviare un semplice avviso in locale o tramite cloud alla persona o all'azienda preposta.

Molti produttori di sistemi OEM potrebbero inoltre utilizzare i dati generati da un sensore di pressione per capire il funzionamento dei propri sistemi HVAC nel tempo.

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